“If you don’t tell your stories now, they are going to fade away. Some stories need to told at that very moment”
(Ma Seong-u, Melo Movie)
Ci sono storie che devi raccontare nel momento in cui le vivi, le vedi, in cui senti tutte le emozioni fresche che chiedono soltanto di esser scritte, messe nero su bianco, altrimenti spariscono, sbiadiscono e si perdono nei ricordi. Melo Movie è una di queste.
Era da tanto che non guardavo un kdrama e ci è voluta l’accoppiata Choi Woo-shik (Our Beloved Summer, Jinny’s Kitchen) e Park Bo-young (Doom at your Service, Strong Woman Bong-soon) per riportarmi a casa, per riportarmi nei vialetti di Seoul con case che ormai sono diventate familiari, come le voci e i volti e persino i profumi che mi è sembrato quasi di percepire attraverso lo schermo.
Non è stato un ritorno semplice perché dalle risate iniziali si è passati -con un salto temporale di cinque anni- alla seconda parte, alla seconda vita dei protagonisti che da ragazzi alle prime armi sono diventati adulti alla ricerca della propria strada tra le difficoltà della vita. Ecco, una delle cose che ho amato di più di questa storia è che non c’è un cattivo, questo ruolo è lasciato alla vita che mette tutti a dura prova.
Ko Gyeom, interpretato da un magistrale Woo-shik che adoro in ogni suo lavoro perché riesce a rendere suo ogni personaggio tra espressioni e mimiche facciali teatrali che non risultano mai eccessive, è un ragazzo in apparenza semplice, felice e solare che ama i film al punto tale da voler diventare un attore ma ovviamente non è mai facile iniziare una carriera, specie nel mondo dello spettacolo. Ma è sostenuto dal fratello maggiore, Jun (uno straordinario Kim Jae-wook, Crazy Love, Coffee Prince) che lo ha cresciuto come un figlio dato che hanno perso i genitori in tenera età e dagli amici, la coppia composta dal musicista Hong Si-jun (Lee Jun-young, Brave Citizen, May I help you?) e l’aspirante sceneggiatrice Son Jun-a (Soulmate, Our Blooming Youth) che ad un certo punto però si lasciano dopo sette anni insieme.
Sul set di un film diretto da Ma Seong-u (Ko Chang-seok), Gyeom incontra l’aiuto regista Kim Mu-bee (Park Bo-young), il cui nome richiama la parola inglese movie– film. È un segno del destino? Mu-bee è una ragazza particolare, figlia di un regista sognatore ma squattrinato, sempre assente e morto quando lei era adolescente, è cresciuta praticamente solo con la madre che ha cercato di ricoprire entrambi i ruoli e con l’amico d’infanzia Jung-hoo (Cha Woo-min, Brave Citizen) che è partito da bambino per gli Stati Uniti d’America per curarsi.
Nasce subito un’attrazione e un’alchimia particolare tra i protagonisti e, per la regola dei kdrama, se i due iniziano una storia nei primissimi episodi sono destinati a separarsi già alla terza puntata. Come avviene e perché? Un incidente automobilistico che rende Jun paraplegico e porta scompiglio nella vita di Gyeom che si ritrova a doversi occupare del fratello, tralasciando tutto il resto ad eccezione della passione per i film che trasformerà in un lavoro, portandolo a diventare un blogger e critico importante. E Mu-bee? Rimasta sola, senza alcuna spiegazione, diventa una regista ma non per seguire il sogno del padre anzi, l’esatto opposto. Vuole diventare una regista che considera i film solo come un lavoro, senza attaccamenti.
Ecco, forse questo aspetto è stato poco approfondito e risulta quasi confuso rispetto alle altre tematiche che invece sono state affrontate, anche solo con pochi accenni che però danno allo spettatore modo di fermarsi a riflettere mentre segue lo sviluppo della storia tra i protagonisti.
Come la vita di coppia, cosa significa veramente vivere una storia d’amore, se bisogna annullarsi per l’altro, vivendo di recriminazioni che poi sfociano inevitabilmente in una rottura ed è così che succede agli amici di Gyeom. È una storia in secondo piano la loro ma, ad un certo punto, quasi ruba la scena. È facile immedesimarsi nei protagonisti di questa coppia perché è capitato a tutti di vivere il passaggio dalla storia adolescenziale a quella da adulti quando, per il quieto vivere, si impara ad accettare compromessi e scelte che non sempre abbiamo approvato in toto. Allora cosa si fa? Si parla o si abbandona l’altro per inseguire i propri sogni come ha fatto Jun-a per poi tornare sui propri passi ed illudere l’ex e illudersi a propria volta di potersi dare una seconda occasione? E, in questo, caso cosa dobbiamo aspettarci dall’altra parte? Che ci accolga a braccia aperte o che ci sbatta la porta in faccia? C’è un momento in cui bisogna ascoltare la voce che dice di chiedere almeno una spiegazione perché solo così è possibile mettere davvero la parola fine ad un capitolo ed aprine uno nuovo.
L’altra tematica importante è quella del fratello malato e del dubbio che si insinua fin dall’inizio nella mente del protagonista ma anche dello spettatore: Jun ha cercato il suicidio o è stato un incidente? Nel primo caso, cosa lo ha portato verso questa scelta e vedendo le condizioni in cui è finito ne è valsa la pena? Gli incidenti possono capitare a tutti e ritrovarsi paralizzati da un giorno all’altro è una tragedia che ci porta a ridefinire la nostra vita e capire che tutto ciò che spesso abbiamo rimandato per mancanza di tempo, di soldi o di coraggio è diventato ora impossibile.
Ci sono altri due piccoli punti sui quali voglio soffermarmi: uno è il lavoro del blogger, del critico che sia cinematografico o musicale e l’altro è quello delle sigarette.
Quando scrivo un articolo, cerco sempre di documentarmi e di dire cosa provo onestamente; se una serie, un film, un album o una semplice canzone non mi sono piaciuti o non mi hanno convinta, lo dico apertamente, cercando di non ferire i sentimenti di chi ha lavorato duramente su quel progetto (anche se non leggeranno mai le mie recensioni) ma come Gyeom li rispetto. Criticare mettendo in chiaro i difetti e ciò che non ci ha convinto è un modo di rispettare un’opera e il suo autore. C’è un momento in cui Gyeom si ritrova a correre in ospedale perché un regista che aveva duramente criticato è finito in ospedale in gravi condizioni. Il pubblico, la stampa si è eretta subito a giudice supremo, condannando il ragazzo, senza possibilità d’appello. È una scena che mi ha fatto pensare perché spesso ci ritroviamo ad emettere giudizi senza aspettare di sapere qualcosa in più su un particolare evento/fatto.
Detto questo, è una serie che ho amato, mi ha fatto ridere e mi ha fatto piangere ma mi ha anche fatto innervosire quando ho iniziato a vedere l’abuso di sigarette nelle scene. Non sono una fumatrice e non condanno chi lo fa ma ritrovarsi ogni due secondi un personaggio che fuma sigarette normali o elettroniche in ogni scena, è risultato pesante. Un product placement che onestamente mi ha dato fastidio.
È una serie che consiglio? Sì. Da rivedere? Nì, nel senso che è bella ma una volta basta e avanza, anche se ho letteralmente amo i siparietti/battibecchi dei protagonisti.
L’avete vista o volete vederla? Vi aspetto qui e nei commenti su IG per capire chi e cosa vi è piaciuto di più o vi ha convinto di meno e vi lascio con il trailer del drama!
Lor
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