In the Soop 2: A break for the Soul

Seeing the members happy made me happy

Suga

Quando sei in viaggio con amici e stai per tornare a casa, dopo una vacanza, ti guardi attorno e, con i bagagli pronti, saluti la stanza che ti ha ospitato, riguardi le foto scattate, qualche video salvato sul cellulare; ti commuovi pensando ai giorni trascorsi perché sai che ci saranno altri momenti stupendi che ti aspettano in futuro ma non saranno più quelli. È come un drama che hai amato e sai che non lo rivedrai più per la prima volta, ne vedrai altri che sapranno darti nuove emozioni e forse rivedrai anche quello stesso drama ma non potrà regalarti le stesse identiche sensazioni che ti ha lasciato quella prima visione. In the Soop è questo e tanto altro.

Se il primo è stato una sorta di esperimento, un battesimo di fuoco nel quale lo spettatore -che sia un fan o meno- conosce il gruppo in un momento in cui sono spaesati, alla loro prima esperienza di vacanza vera, senza impegni ma anche senza sapere di fatto cosa voglia dire esser in pausa perché cercano di seguire comunque un programma, nella seconda edizione entriamo nel loro vissuto più intimo, in quel “a break for the soul to empty our minds” (una pausa per l’anima per liberarsi dai pensieri) di soli quattro giorni, nel quale ognuno cerca un proprio spazio per rilassarsi nel vero senso del termine, scherziamo, giochiamo con loro, ma soprattutto ci sembra di esser tornati a casa, pronti a sederci di nuovo al tavolo per decidere cosa preparare per cena perché come dice Suga “guardare i membri felici, mi rende felice”.

Questa è la sensazione che ti lasciano gli otto episodi che compongono la serie: la voglia di vederli felici perché ciò ti rende altrettanto felice. Alla fine però hai la classica sensazione post viaggio, quella malinconia che grida “riportami là!” ma, almeno fino metà 2025, possiamo scordarcelo. Sì, ok si può prenotare un mini tour di un giorno nella villa che li ha ospitati a PyeongChang, nel Gangwon, di proprietà della Hybe, solo per poter dire “sono stato nella casa dove hanno vissuto i BTS, respirato l’aria che hanno respirato loro, toccato il suolo dove hanno camminato loro” (ogni riferimento, citazione, non è casuale. Sono frasi che potrei dire io stessa e sto cercando di autoconvincermi a non prenotare il tour) ma non è proprio la stessa cosa. Non è come partire in piena notte sul pulmino che li ha portati a tre ore di distanza da Seoul, circondati da montagne e foreste in compagnia di Bam, il dobermann di JungKook che abbiamo imparato a conoscere ed amare attraverso le sue live e che all’epoca era un “cucciolo” di un anno al quale tutti hanno fatto da zii. Durante il viaggio sono partiti con uno spuntino a base di jjinppang (il panino al vapore ripieno di fagioli rossi) e nel corso della serie li vediamo cimentarsi con nuovi piatti che ritroviamo poi nel loro libro di ricette, come i diversi tagli di carne Hanwoo (manzo coreano) preparati da Suga, l’hwachae, il jogaegui (crostacei alla griglia), i chapaguri (un mix tra diversi tipi di noodles), il suyuk (la pancetta brasata) di JungKook, i croffles (il croissant waffle) di Hobi e tante altre delizie sopraffini preparate sotto la supervisione di Jin e del suo metodo per verificare la cottura della pasta che mi lascia sempre basita.

Ovviamente non c’è stata solo la preparazione culinaria degna di Masterchef SK (con tanto di chiamata allo Chef Paik Jong-won) ma anche i momenti di stupore con l’arrivo al complesso residenziale creato apposta per loro con tre ville ristrutturate, con all’interno una stanza da gamers, una palestra e una piscina -usata per lo più da jhope- con un gonfiabile a forma di unicorno che Jin ha salutato ogni mattina, un campo da tennis/volley dove hanno giocato a footvolley tutti insieme (Bam compreso), dei quad (ATV) con i quali JK e V si sono divertiti a scorrazzare in giro per le strade mentre RM si è divertito a girare in bicicletta, un canestro che ci ha fatto emozionare e ridere tra Suga che ha cercato di insegnare a Jimin come fare centro e la maknae line che ha poi deciso di sfidarsi all’ultimo tiro sotto la pioggia incessante. Non ci sono stati solo momenti di sole ma anche pioggia, come in ogni vacanza che si rispetti. E cosa succede quando piove? Cosa si fa? Ci si arma di libri o pennelli per realizzare opere degne di un museo. Se nella prima stagione RM si era divertito con il puntinismo, in questa ha puntato sulla semplicità dei gradienti riuscendo comunque a realizzare un lavoro incredibile, come quelli di JungKook, di V e di Hobi, totalmente diversi tra loro nei quali è possibile riuscire però a riconoscere la loro impronta come la loro voce al noraebang (il karaoke coreano, quello originario). Anche qui si sono divertiti infatti ad esibirsi ma anche a giocare a Super Mario (Jin è ufficialmente il mio eroe, è riuscito a farmi vedere la fine del gioco e a salvare la principessa Peach), a guardare le Olimpiadi facendo il tifo in maniera sfegatata (che mi ha ricordato quando hanno guardato i mondiali di calcio e ognuno di loro ha postato nelle storie l’esibizione di JungKook alla cerimonia di apertura ma anche i risultati delle partite della nazionale sud-coreana) e a giocare a Survival Game.  

Non vi spoilero tutto, vi lascio qualche piccola sorpresa da gustarvi durante la visione e vi invito davvero a guardarlo perché è come entrare in punta di piedi nel loro mondo e scoprirli ancora più umani e genuini.

Chiudo con uno dei miei momenti preferiti di questa seconda stagione, un video stupidissimo che mi resterà sempre impresso e mi farà sempre ridere.

Lor

2 risposte a “In the Soop 2: A break for the Soul”

  1. […] sempre con la valigia più pesante, carica di prodotti per la skincare (come abbiamo visto anche in the soop 2). Il maknae definisce Hobi un fashionista ma di fatto è lui il membro più “accessoriato”, e […]

  2. […] felici per lui dato che in passato ha mostrato spesso questo suo amore per l’ambito culinario da in the soop (e chi si dimentica la pancetta della seconda stagione?) alle live notturne con lezioni speciali di […]

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