“Every town I’m in, you’re the one I’m with, with me from the start, always the best part of my day”
(JungKook, Never Let Go)
Quando JungKook ci ha salutato, poco prima della partenza, sapevamo che aveva preparato delle sorprese per noi, aleggiava nell’aria lo spoiler del vlog con Jimin e una sorpresa che sarebbe arrivata a metà anno ossia il singolo di Never Let Go, semi-annunciata in una delle ultime live. Ma la notizia del documentario è stata la vera rivelazione, quella che non ci aspettavamo, almeno non nei modi in cui I AM STILL è stato realizzato.
Dal punto di vista “tecnico”, l’ho trovato molto simile al documentario di Suga con gli estratti live ma mi ha ricordato anche i lavori di jhope e Jimin nelle parti più riflessive ed è lì che emerge il vero JungKook, quello che abbiamo imparato a conoscere attraverso le dirette su weverse tra battute e paure, sempre pronto a dare il meglio di sé in ogni occasione, alla ricerca della perfezione, della sua idea di perfezione con note impossibili da raggiungere.
Ma chi è il Golden Maknae, il membro più giovane fra tutti, conosciuto con il soprannome datogli da NamJoon agli esordi per il suo straordinario talento?
In un’ora e mezza di filmato tra Seoul, New York e Londra, nel mezzo di sale di incisione, programmi televisivi e camere d’albergo, con la compagnia di aerosol e panini imbottiti, lo seguiamo mentre svela al mondo quella parte di sé che gli ARMY hanno già avuto modo di apprezzare in questi anni ma, anche, mentre è impegnato nella ricerca della propria dimensione, della propria identità in un contesto nuovo, entrando in punta di piedi nel regno del pop americano.
Ecco, quando sono uscita dal cinema, il primo pensiero che mi ha attraversato la mente è stato il paragone con me stessa, come l’ultima, la piccola di casa che vuole emergere.
Esser gli ultimi figli in una famiglia numerosa non è mai semplice. Nasce sempre il confronto con i più grandi per le loro capacità, il loro talento, i modi di fare e spesso il piccolo di casa si ritrova a non sapere veramente chi è davvero al di fuori del contesto familiare perché ha passato la propria vita cercando di uscire dall’ombra, di non esser solo una copia dei fratelli maggiori che adora e dai quali ha preso a piene mani i loro insegnamenti ma dai quali vuole imparare a distinguersi, per esser riconosciuto come una persona a sé stante, non solo come parte della famiglia, del gruppo ma come un individuo autonomo.
E JK ha preso tanto da ognuno dei suoi fratelli, affascinato da loro, da NamJoon e Suga per il loro approccio alla musica (e non solo), da Jin che ha sempre visto come un riferimento “reale”, il fratello maggiore che lo stuzzica ma allo stesso tempo lo protegge, da jhope che gli ha trasmesso il suo amore e passione per le coreografie, da Jimin e V che ha visto come esempi più vicini di età da copiare e compagni con i quali divertirsi.
Lui è la somma dei membri e con l’uscita di Golden è emersa anche una nuova parte di sè, quella in divenire, che Pdogg ma anche il parrucchiere dei Bangtan che lo hanno cresciuto si sono trovati a salutare poco prima della partenza, quasi con timore e nostalgia per quel ragazzino che hanno visto cambiare e migliorare giorno dopo giorno sotto i loro occhi, senza perdere mai la vivacità nello sguardo e nel sorriso, quella spontaneità che lo ha portato ad esser amato da tutti.
I AM STILL è incentrato prettamente sulla realizzazione dei tre singoli che hanno portato Golden al successo ossia Seven, 3D e Standing Next To You ma permettendo allo spettatore di ascoltare anche una versione a cappella di Hate You, cantata in macchina ed assistere ad esibizioni -ed incisioni- di tracce come Too Sad To Dance, Somebody, Yes or No (con Tae-hyung comparso alla velocità della luce sotto le telecamere in sala di registrazione) e Magic Shop, tralasciando però pezzi come Closer, Please don’t change e Shot Glass of Tears (sì, quest’ultimo è stato un colpo al cuore).
Scopriamo la genesi di questi pezzi con i produttori che li hanno realizzati come Cirkut, conosciuto per aver collaborato -tra tanti- con Britney Spears, Rihanna e Taylor Swift; Andrew Watt, noto per aver lavorato anche con Post Malone, i Pearl Jam e The Kid Laroi; e David Stewart che ha conosciuto e portato i BTS nell’epoca di Dynamite.
Ma c’è anche un’altra partecipazione speciale all’interno del documentario quasi silenziosa, che non ha battute, non parla, eppure si sente attraverso le urla in sottofondo durante le esibizioni e le parole di JungKook: la voce degli ARMY che lo accompagnano in ogni città, lo seguono dall’inizio e sono la parte migliore dei suoi giorni, quelli che you gave me the best of me, so you’ll give you the best of you (voi mi avete dato il meglio di me e io vi darò il meglio di voi, Magic Shop). Non c’è un solo momento del documentario in cui JungKook non pensa ai fans. Ogni esibizione, ogni prova, ogni fatica è dedicata agli ARMY, con il pensiero fisso di esser all’altezza delle loro aspettative, di non deluderli mai. In questo ultimo anno ha lavorato con questo obiettivo per cercare di non esser dimenticato mentre si preparava a partire per il militare, in una delle scene più commoventi del documentario perché è lì che lo spettatore realizza che sta per finire questo capitolo, che ci addormenteremo come JK in una stanza d’albergo sapendo che even though I always know the morning will come, I want to stay in your sky like a star, pur sapendo che il mattino arriverà, lui sarà nel nostro cielo, nei nostri pensieri come una stella…sempre presente anche quando non si vede, sarà ancora con noi (still with you).
Siete andati al cinema a vederlo? Fatemi sapere cosa ne pensate qui e nei commenti su IG!
Lor
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