Oasis: l’amore di una madre, la sete di potere

Everyone has a Pandora’s box in his heart that no one should open

Oh Man Ok

Ognuno di noi ha dei segreti che sono come una sorta di vaso di Pandora che nessuno dovrebbe mai aprire, che diventano come “veleno per le persone che li scoprono” (Hwang Chung-seong). Questo è il fulcro di Oasis, un drama incentrato su quel piccolo angolo di mondo antico che si scontra con il passare del tempo che ne mette in luce le crepe e i difetti.

Ho lasciato a lungo questa storia in stand-by perché volevo gustarmela con il giusto spirito, dandole l’attenzione che meritava perché sapevo che era incentrata su un periodo storico estremamente importante, sia a livello globale che nazionale, quegli anni che vanno dal 1978 al 1995 circa. Sono stati gli anni dei grandi cambiamenti e, se vogliamo fare una piccola comparazione, nello stesso periodo, noi siamo stati segnati dal caso Moro, dalla Strage di Bologna, dalle stragi di Capaci e via D’Amelio per concludere con l’avvio delle inchieste di Mani Pulite che hanno portato tutta una serie di conseguenze importanti nel nostro paese. Episodi di cui la maggior parte di noi è stata spettatrice inerme ed inerte, ma nel piccolo abbiamo recepito tutti un cambio di registro nella vita di tutti i giorni, sia nei rapporti famigliari che professionali.

E in Corea? Sono gli anni che hanno visto il massacro di Gwangju e lo scontro con la dittatura di Chu Doo-hwan ma anche l’inizio di quella crescita economica sfociata nella c.d. ondata coreana che ha portato il paese ad esser uno dei principali protagonisti della scena mondiale odierna. Ma la maggior parte dei coreani hanno vissuto e subito questi cambiamenti senza esserne protagonisti in prima battuta e Oasis mostra proprio questo, lasciando la Storia in lontananza (molto in lontananza), come un eco; partendo dal paesino di mare di Yeosu nella provincia della Jeolla meridionale arrivando a Seoul, di cui vediamo la trasformazione -assieme al resto del paese- che si avvia verso la modernizzazione attraverso le speculazioni edilizie; vediamo anche i cambiamenti nei rapporti sociali con l’uso costante dei termini rispettosi “hyung” e “ajussi” ma anche con il passaggio da una sorta di servitù di stampo feudale alla parità che non viene pienamente compresa e raggiunta da tutti. Ed è da qui che muove i primi passi il drama.

I protagonisti sono due compagni di scuola e amici, Lee Doo-hak (Jang Dong-yoon, School 2017) e Choi Chul-woong (Choo Young-woo) o, meglio, questo è quello che inizialmente vogliono mostrarci. Di fatto, appena entra in scena Oh Jung-shin (Seol In-ah, School 2017, Business Proposal), si svelano le vere dinamiche tra i due. Se da un lato abbiamo Doo-hak, studente eccellente ma figlio di contadini, sempre pronto a difendere l’amico e a studiare strategie per non esser puniti a scuola, dall’altro abbiamo Chul-woong che viene dalla famiglia dei padroni, e non esita a ricordarlo all’altro specie davanti alla ragazza, menzionando il fatto che la famiglia Lee ha servito da secoli i Choi come schiavi. E questo rapporto di sudditanza prosegue anche nell’epoca moderna, al punto che -come scopriamo nei primissimi episodi- Jung-ho (Kim Myung-soo, Little Women), il padre di Doo-hak, ha letteralmente “regalato” il suo secondogenito aka Chul-woong alla famiglia Choi, Choi Young-sik (Park Won-sang, tra i tanti ricordiamo Our Beloved Summer) e la moglie Kang Yeo-jin (Kang Kyung-hun, Alchemy of Souls 1 e 2). Ovviamente senza pensare alla puerpera Jeom Am-daek (So Hee-jung, Eve, Sh**ting Star, 2521) e guadagnandosi di diritto il titolo di Padre dell’Anno e Marito dell’Anno.

Vi vedo che state storcendo il naso, ma non è finita qui. Insieme, oltre ad una confezione di servitù gratuita a vita, offre pure l’uscita dal carcere per Chul-woong con relativo ingresso al suo posto del primogenito.

Eh? Ok, urge dare una piccola spiegazione.

Vi avevo anticipato che Doo-hak era bravo a scuola, tanto bravo che fanno pure i complimenti al padre che però preferisce sentire le lamentele di Yeo-jin perché il povero non può esser più bravo di suo figlio che è ricco. E così, da bravo Padre dell’Anno, ritira il figlio dalla scuola e lo obbliga ad iscriversi in un istituto professionale per contadini ma questo non basta, perché, ad un certo punto, Chul-woong uccide un ragazzo nel corso di una lite e non può finire in carcere; non è ammissibile che un ragazzo di buona famiglia finisca in prigione. Così, Chul-woong e sua madre supplicano Padre dell’Anno che decide di mandare in prigione il primogenito al posto del ragazzo ricco (che ricordiamo è pure lui suo figlio). C’è il primo salto temporale che ci porta all’uscita di prigione di Doo-hak che nel frattempo è sopravvissuto alla vita in galera, imparando a destreggiarsi con i peggiori criminali, lasciato Jung-shin perché la famiglia di lei glielo ha chiesto con gentilezza (il padre della ragazza è andato a trovarlo in carcere per dirgli di lasciare libera la figlia di farsi una vita con una persona con la fedina penale pulita) ed è deciso ad avviarsi alla carriera da criminale, iniziando come membro di una società di truffe immobiliari con gli amici conosciuti durante gli anni da recluso.

Chul-woong si è invece laureato e sta studiando per diventare procuratore e alla cerimonia di laurea hanno partecipato la madre e i genitori naturali, orgogliosi di quel figlio che non possono riconoscere pubblicamente, né privatamente (perché nessuno, al di fuori dei tre adulti, sa la verità) ma non il padre adottivo perché è morto. Sembra un dettaglio irrilevante invece sarà al centro della storia perché nel corso di altri salti temporali, tra speculazioni edilizie, truffe immobiliari, amore ritrovati (Jung-shin e Doo-hak) e amori mai corrisposti (Chul-woong e Jung-shin), diritti sindacali, mondo dello spettacolo e proteste studentesche con tanto di Chul-woong che finisce in un centro di rieducazione sociale (chi si opponeva al regime dittatoriale finiva vittima delle peggiori torture che non lasciavano grandi scelte tra il diventare una spia o morire), Yeo-jin ha la splendida idea di ritrovare il grande amore della sua adolescenza, Hwang Chung-seong (Jeon No-min), a capo dei servizi segreti sudcoreani e spacciare il figlio come il frutto della loro relazione amorosa prematrimoniale.

Seguono circa dieci episodi in cui succede praticamente di tutto, al punto che solo uno spettatore masochista riesce a resistere alla visione ed uscirne indenne (spoiler: ancora non riesco a capire come ci sia riuscita, ringrazio Coccolino e lo stuolo di fans che hanno seguito i miei aggiornamenti in presa diretta su Instagram) per riuscire a riprendersi all’undicesimo episodio e concludere degnamente il drama, salvo piccole sbavature tipo Doo-hak che entra nella mafia giappo-sovietica, dopo essersi salvato miracolosamente da una sparatoria che lo ha costretto a buttarsi in mare o, quando per non farsi riconoscere dal mondo, si mette un cappello da pescatore, un paio di occhiali e di baffi finti. Sì, è successo davvero.

Mi aspettavo un altro genere di drama, forse più storico, questo è più una sorta di telenovela in cui vediamo l’amore di una madre adottiva che va a scontrarsi con la sua sete di potere, rovinando di fatto la vita proprio all’unica persona che ama davvero; ma, vediamo anche l’amore di una madre che non riesce a dimenticare il figlio che le hanno strappato via e deve mantenere il segreto mentre cerca di crescere gli altri figli con un occhio di riguardo per il primogenito che osserva trasformarsi da bravo ragazzo in una persona che cerca di sopravvivere ad un destino che non era quello voluto. Sono stata tentata di abbandonarlo più volte, sono onesta ma, alla fine, gli ultimi episodi hanno salvato quello che stava per diventare il peggior drama di sempre, superando persino Fashion King. Mi hanno sorpreso, come mi hanno sorpreso in positivo sia la recitazione degli attori (perché, credetemi, devi esser davvero bravo per riuscire a portare in scena determinati personaggi e renderli quasi credibili; quasi perché i miracoli sono impossibili con una sceneggiatura di base come quella ma sono stati bravi e lo riconosco), sia la fotografia spettacolare. Sembrava davvero di esser dentro gli anni ’80; le ricostruzioni del set sono state incredibili e vale la pena di recuperarlo per riconoscere in questi posti le locations di altri drama storici importanti come Chicago Typewriter e Snowdrop. Non a caso sono stati tutti girati all’Hapcheon Movie Theme Park.

Non mi sento di stroncarlo definitivamente ma non è stato il drama che avevo immaginato. Se si guarda con un altro genere di premessa può anche funzionare. Bisogna esser pronti a trovarsi di fronte ad una serie di colpi di scena messi a caso che vi faranno strabuzzare gli occhi perché non si capisce se vuole esser un drama serio, una commedia romantica o un drama comico.

Non è una storia semplice da guardare e bisogna esser davvero aperti e pronti a tutto, specie perché Padre dell’Anno riesce a tirare fuori sentimenti che non credevo esistessero.

Ah altra nota positiva: è interessante fare un confronto tra la Corea del Sud dell’epoca e la situazione italiana che paradossalmente non era poi così diversa, nonostante ci separino circa 9000 kilometri di distanza.

Lor

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