MONO: embrace the world and suck in a breath

Se consideriamo RM il primo mixtape omonimo di Rap Monster come un album “emotivo”, una sorta di replica dell’artista a chi lo etichetta come idol con disprezzo, perché si è “venduto” alle case discografiche, ma anche l’inizio della presa di consapevolezza della propria solitudine in tracce come “Awakening” e “Life”, MONO è il mixtape -anzi, la playlist come l’ha definita l’artista stesso anche in copertina- più maturo, intimo e riflessivo che contiene tracce in grado di rendere quasi tangibile la solitudine e l’immagine degli stati d’animo, delle sensazioni che ha provato nel realizzarlo ma anche di quelle che prova chi lo ascolta. Ed è così che voglio analizzare questo mixtape, attraverso le immagini che mi ha trasmesso. Non sono un’esperta musicale, non troverete mai qui termini ricercati, tecnicismi propri del registro musicale ma solo quello che sento, che conosco ed ho imparato a conoscere da semplice amante delle note musicali.

MONO è uscito il 23 ottobre 2018, senza testi ufficiali perché ognuno di noi deve sentire le parole che più si avvicinano al proprio stato d’animo (come ha dichiarato Nam in un post sul DAUM fancafè ), rendendo quindi più semplice ma allo stesso più complessa la comprensione dei testi per varie assonanze e giochi di parole; si compone di sette tracce in un mix di inglese e coreano.

Si parte con “Tokyo”, l’unico singolo interamente in inglese, che mi ha trasmesso l’immagine di una passeggiata serale, nel tramonto di fine dell’inverno, quando è finito di piovere e vedi le luci sfuocate, ti senti solo nella città deserta o forse sei tu che ti sei isolato dagli altri, che ti sei fermato un attimo e ti senti come un turista, come uno straniero che si sveglia in un’altra città, a Tokyo, con un beat che richiama i suoni del Giappone. Tokyo è infatti intesa come la città, capitale del Giappone, ma anche come “longing, aspiration” per la pronuncia in lingua giapponese, che rende l’idea di “wake up in Tokyo feel like a tourist/feel like a torn soul” come svegliarsi a Tokyo/svegliarsi con il desiderio, come un turista/come un’anima lacerata. E prosegue con “I see Pinocchio wearing a poncho, that’s me some time ago” (vedo Pinocchio indossare un poncho, quello ero io tempo fa).  Vede sé stesso come Pinocchio, il burattino che vuole diventare umano, come lui voleva sfondare nell’industria musicale cercando di staccarsi dalle etichette del mondo, “do I miss myself? Do I miss your face? Life is a word that sometimes you cannot say and ash is a thing that someday we all should be. Why do love and hate sound just the same to me?” (Mi manca il me stesso di un tempo? Mi manca la tua faccia? La vita è una parola che non puoi dire e polvere è qualcosa che sarai, perché amore -inteso come vita- e odio -inteso come morte- hanno lo stesso suono per me?). Questo gioco di parole e suoni lo ritroviamo nella traccia successiva, “Seoul” che ci porta direttamente dentro la capitale sudcoreana, nella città dei contrasti. Un singolo creato con il duo britannico Honne, sia nel testo che per linea melodica che rende l’idea di esser fermo in macchina, in mezzo al traffico del mattino, in ritardo sulla tabella di marcia, mentre ti guardi attorno in quella che è diventata la tua nuova routine, la tua nuova casa. NamJoon è nato e cresciuto ad Ilsan, piccola cittadina vicino a Seoul (facilmente raggiungibile in metro), chiamata la città dei fiori in Ma City per il festival dei fiori (Goyang International Flower Festival) e si è ritrovato a Seoul, la città piena di edifici e macchine, la città del fiume Han tristemente famoso anche per l’alto tasso di suicidi che si differenzia dall’Ilsan Lake Park della sua città natale. Eppure, nonostante tutto, Seoul ha lo stesso suono di Soul (anima), racchiude anche la sua anima nel loro rapporto di amore e odio (I love you Seoul, I hate you Seoul). “I’m leaving you, I’m living you” (ti sto lasciando, ti sto vivendo). Mentre si ascolta il singolo, è facile immaginarsi RM mentre gira in bicicletta, mostrandoci gli scorsi di Seoul menzionati nel testo, come l’area di Cheonggyecheon (quel tratto di Seoul che ricorda la darsena milanese, rinato a nuova vita nei primi anni Duemila) e Seonyudo.

Si passa poi a “Moonchild, dedicata ai figli della luna, ai figli della notte, a coloro che lavorano la notte, vivono di notte e già nella parte melodica si avverte la sensazione di esser a lavoro la sera tardi, senza nessuno in ufficio, quando ci si sente più liberi e proficui. “Moonchild, you shine when moon rise, it’s your time” (Figlio della luna, splendi quando la luna è alta, quello è il tuo momento) (..) “we are each other’s nightscape, each other’s moon” (noi siamo l’uno il sostegno/la scappatoia dell’altro, l’uno la luna dell’altro).

E arriviamo a “Badbye con eAeon (musicista glitch pop, quella musica elettronica composta da suoni/distorsioni musicali), che è una traccia breve e ripetitiva ma particolare, usata come “bridge”, l’intermezzo tra le prime tre e le ultime tracce. “Badbye” è un saluto ma è l’opposto del classico goodbye, è il saluto finale che uccide dolcemente, che have me be scattered as fragments (che ti lascia spezzato in mille frammenti).

Con questo singolo e con “Everythinggoes feat. NELL, RM ha realizzato il sogno di lavorare con gli “eroi” della sua infanzia (spoiler: che sono anche quelli di Suga), quelli che lo hanno portato a realizzare che anche la musica “triste” può curare la tristezza di qualcuno. Quest’ultima traccia è un crescendo con un inizio ripetitivo per chiudersi con “just like the night leaves and the morning comes, the spring leaves and summer comes”, (come la notte ci lascia e arriva il giorno, così la primavera se ne va ed arriva l’estate, tutto passa), “embrace the world and suck in a breath” (abbraccia il mondo e respira a pieni polmoni). Rende l’idea di esser fuori, sul balcone o in terrazza o su uno scoglio pronto a buttare fuori tutto quello che hai dentro, urlando al mare, perché stai chiudendo un capitolo ed iniziandone uno nuovo.

Torniamo un attimo indietro conUhgood che ricorda un po’ “Seoul” per la sensazione di esser fermi nel traffico ma di sera, quando rifletti sulla pessima giornata in ufficio, quando senti tutte le critiche arrivate addosso durante la giornata, “you need to do so much better, you need to be much cooler, you have to win” (devi fare meglio, devi esser più figo, devi vincere). Tutto quello che ti porta a chiuderti ancora di più in te stesso. Ma anche a cercare di capire la differenza tra l’essere ideale e la realtà per raggiungere il vero te stesso, “to reach myself, to reach the real me“. E qui RM diventa Real Me, passa da quel ragazzino che si faceva chiamare Rap Monster all’adulto Real Me.

Il mixtape si chiude con “Forever Rain, un brano indie rap, dove riesci a vederti alla finestra mentre ascolti il rumore della pioggia. È il brano che ti accompagna per mano dentro Indigo. Il tema dominante è la solitudine che ti porta a vedere la pioggia come un’amica, “I wish it rains all day ‘cause then people wouldn’t stare at me” (vorrei che piovesse tutto il giorno, così la gente non si fermerebbe a fissarmi). E possiamo interpretare questo punto sia in modo intimo e proprio, quando piove infatti nessuno guarda le nostre lacrime che si confondono con la pioggia ma anche in riferimento alla persona di NamJoon che riesce a trovare pace nei giorni di pioggia, quando può andare libero in bicicletta in giro per la città senza paura che gli altri lo riconoscano.

Onestamente non sono dire cosa mi sia piaciuto di più tra RM e Mono, sono due mixtape completamente diversi ma che sono in grado di trasportarti dentro un mondo di emozioni incredibili. Il prossimo passo sarà Indigo ed ho quasi paura ad entrare nel dettaglio di quello che ho sempre definito come l’album in grado di curare le ferite che non sapevi di avere.

Fatemi sapere cosa ne pensate, io vi lascio con “Everythinggoes” che è la mia traccia preferita di MONO.

Lor

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