J-Hope in the box: A Gwangju’s baby…a Gwangju’s hope

I’m a South Jeollado, Gwangju’s baby (…) I put on a KIA and I turn on the engine (…) I raise my big dream of being a singer, now in front of reality (I do) music and I jump on stage”.

(BTS, Ma City)

Bastano già queste poche righe tratte da Ma City (singolo presente nell’album dei BTS: The Most Beautiful Moment in Life, Pt. 2, del 2015) per farsi un’idea di chi sia jhope, all’anagrafe Jung Ho-seok, nato il 18 febbraio 1994 ad Ilgok-dong, nel distretto di Buk a Gwangju. Lui stesso si definisce un figlio di Gwangju, della Jeolla del Sud, che mette in moto la sua KIA (il marchio automobilistico che ha avuto ed ha tutt’ora un forte impatto sull’economia locale, data la presenza di uno degli stabilimenti storici dell’azienda sul territorio) e che aveva il sogno di diventare un cantante e un ballerino, esordendo nella Neuron Crew, partecipando e vincendo competizioni di street dance con il nome di Smile Hoya prima di arrivare alla vigilia di Natale del 2010 nella tana del rap, il dormitorio dove sono nati i BTS. E oggi fa davvero musica, saltando sul palco con il nome jhope, che racchiude la speranza, quell’ultima speranza che stimola il mondo a trovare la forza di andare avanti nonostante l’oscurità, nonostante le avversità che sono fuoriuscite dal vaso di Pandora (Intro, Jack in the box). È così che ci siamo abituati a vederlo, a conoscerlo e che lo abbiamo visto esibirsi ad agosto 2022 al Lolapalooza a Chicago, ribattezzato Hobipalooza per lo straordinario successo che ha avuto e nel quale ha eseguito, per la prima volta davanti al pubblico, i singoli che vanno a comporre il suo primo album da solista Jack in the Box, pubblicato un mese prima e la cui realizzazione è stata ripresa nel documentario J-Hope in the box di cui parliamo oggi.

Quando è uscita la notizia di questo speciale, ero in fibrillazione come un Jack in the box, il giocattolo, la scatola che contiene un clown a molla e che rappresenta il concept dell’album di Hobi, pronto a stupire, a sorprendere il pubblico, ma anche gli stessi membri del gruppo, per come si è mostrato sotto una luce nuova, è emersa la dualità tra Hobi e jhope che hanno portato alla nascita di Jay, un Hobi nel suo elemento, libero di essere se stesso. Eravamo abituati a vedere una versione quasi ingenua di Hobi attraverso i Run BTS ma già all’uscita dell’MV di More abbiamo cambiato idea, rimanendo sbalorditi e allo stesso tempo elettrizzati con la voglia di aver di più, di aver avere già in mano l’album. E, come noi, anche RM è rimasto sorpreso quando ha ascoltato in anticipo le tracce (ed ha ricambiato il favore, facendo ascoltare in anteprima Indigo ad Hobi), e Jimin che lo ha sostenuto in questo percorso, volando direttamente a Chicago per supportarlo durante la preparazione del concerto e lo abbiamo visto nel documentario anche ridere con i TXT e con Becky G (con la quale Hobi ha collaborato al remake di Chicken Noodle Soup) e, soprattutto, abbiamo assistito al loro fatidico incontro con JCole che ha portato alla collaborazione e realizzazione del singolo On the Street, il saluto di Hobi agli Army prima di partire per il militare.

Il documentario racchiude 200 giorni di filmato, condensati in un’ora e mezza di programma nella quale lo spettatore entra in punta di piedi nello studio di Hobi e lo segue in tutto il processo di produzione dell’album: dalla fatiche per la creazione e realizzazione delle tracce, alla promozione, con l’invito al listening party alla presenza degli altri membri dei BTS con cui ha ballato, riso e scherzato (ad eccezione di Suga che era a casa con la febbre) e di ospiti, più o meno famosi, del calibro di Uhm Jung-hwa e al tour nella casa dei genitori dove viene mostrata la pietra con targa dedicata ad Hobi in giardino. Uno dei miei punti preferiti perché rappresenta l’orgoglio e i sacrifici dei genitori di jhope, cresciuto con un padre, professore di vecchio stampo, che inizialmente non voleva che il figlio seguisse questa passione mentre la madre lo ha sempre supportato, andando anche a lavorare all’estero per sostenere economicamente le spese necessarie per completare la formazione artistica del figlio (come ha ricordato HoSeok anche nel singolo Hey Mama, dell’album Wings, che potete recuperare qui https://youtu.be/_nl1upMZA2A?si=suPdYJ1k-Ke4myLC ). Sforzi che sono stati ripagati anche dal successo dell’album da solista che è stato inserito al nono posto nella classifica Rolling Stone degli album più belli del 2022. È un documentario che vi consiglio di recuperare per conoscere meglio questo straordinario artista che se già lo amate normalmente, sul palco troverete incredibile la sua trasformazione, come sia in grado di dominare la scena, di trascinare il pubblico fin dal suo ingresso con “Let’s make some motherf*cking noise”.

E, anche, perché se siete veri Army non potrete non apprezzare la chiusura con “Special thanks to our biggest voice, Army”, “Un ringraziamento speciale alla nostra voce più grande, gli Army”.

Vi lascio con gli highlights del documentario che vi invito a recuperare su Disney+ e fatemi sapere cosa ne pensate!

I purple you!

Lor

Una risposta a “J-Hope in the box: A Gwangju’s baby…a Gwangju’s hope”

  1. […] un percorso iniziato con la street dance e la Neuron Crew come abbiamo visto nel documentario jhope in the box;  lo vedremo esibirsi in diverse coreografie in giro per il mondo, tra cui quella già […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *